30 aprile 2012

non-sense



Tristano e Isotta, Romeo e Giulietta. Paolo e Francesca, e poi chi altro? La ruota gira per tutti, e questo è un famoso detto che quasi (e sottolineo quasi) mai si sbaglia. Per ognuno di noi arriva il momento catartico in cui i sensi sono stuzzicati e sollecitati da qualcosa di nuovo, quel momento in cui si lotta per lasciarsi andare. Il momento cartico che intendo è quello della liberazione dalle catene dell'uomo di Platone che si libera dalla costrizione della caverna, in cui finora solo ombre e giochi di luce lo hanno tenuto vivo. Ma perché essere troppo criptici? Diciamo le cose come stanno, la chiarezza è una dote che in troppi barattano spesso con ciò che secondo loro crea fascino: metafore, ghirigori letterari, voli pindarici dell'anima.

Mi chiamo Giulia, ho 22 anni, sono una normale (anzi banale) ragazza qualsiasi, ma non la ragazza qualsiasi che si vede in TV, bellissima e brillante con l'unico segno forzato di semplicità rappresentato dal fatto che le abbiano fatto indossare delle sneakers e che il volto sia rimasto privo di trucco. No, la semplicità di Giulia (ovvero me) è quella caratterizzata da jeans a cui manca l'orlo, vecchie borse in similpelle, un grosso naso, qualche brufolo, il sedere grasso. Una, insomma, concentrazione di difetti che nel loro insieme si aggrappano a quell'equilibrio che mi rende accettabile. E per quanto riguarda l'essere brillante, come può una ragazza normale esserlo, senza l'ausilio di copioni e gobbi? Le mie frasi ad effetto sono pensieri che sporadicamente accolgono il consenso di una o due persone, nel peggiore dei casi solo del mio gatto. Ah già, il mio gatto.

Billo è assolutamente facente parte di me, non si può parlare di Giulia senza che sia citato anche lui, trovatello rossiccio dalla coda cespugliosa. Anche adesso non è che a un paio di metri da me, e la distanza è già così enorme a causa del fatto che io sto sotto la doccia. Billo non ama l'acqua.

Continuo a farmi le mie seghe mentali pensando nella mia mente come se stessi scrivendo un libro, reinventandomi la Sophie Kinsella dei poveri, mentre ad un occhio attento non potrebbe sfuggire che invece della penna, la mia mano destra brandisce una Gillette rigorosamente rubata dall'armadietto di Enrico, strumento teoricamente pensato per radere la barba di una nottata passata a guardarsela crescere, adesso utilizzato da me per radermi le ascelle.
Mi rendo conto mentre osservo che la parte sia completamente liscia e priva di peli, che l'introduzione del mio primo capitolo prometteva ciò che non ancora mi accingo a mantenere in quel mio delirio che nella mia testa sta prendendo forma arrecandomi, detto fra noi, una buona dose di paura.

- Miaooo... - pigramente Billo sbadiglia, mentre si accuccia su se stesso sull'asciugamano che ho disteso in terra, accanto alla vasca.

- Billo, insomma, non puoi mica sempre dormire! - lo rimprovero mentre strizzo i capelli, ormai pronta ad uscire.




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IPSE DIXIT.


Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia.
Non lo so, ma sento che ciò accade, e mi tortura.

- Catullo

Ὲρέω τε δηὖτε κοὐκ ἐρέω,
καὶ μαίνομαι κοὐ μαίνομαι.
Amo e non amo,
sono pazzo e non sono pazzo.
- Anacreonte

 

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